Gentile utente, la situazione di cui mi parla è comune a molti genitori di ragazzi con diabete di tipo 1, anche se sapere di non essere da soli non allevia certamente le ansie di una mamma e/o di un papà. L'adolescenza è un'età difficile già di per sè e oltretutto negli ultimi decenni si sta allungando. E' comune a molti bambini, pre-adolescenti e adolescenti diabetici la difficoltà "sociale" della propria patologia, in particolar modo quando vissuta in maniera iper- controllante, ansiosa, rabbiosa, dai soggetti stessi, ma anche quando, al diabete 1, si aggiungono fattori caratteriali, quali la timidezza, l'insicurezza.
Io credo che lei, come genitore, stia facendo già del suo meglio, in particolare osserva molto suo figlio; questa è una pratica molto importante nel mestiere difficile di genitore. D'altra parte, l'aiuto che potrebbe derivare da uno specialista potrebbe essere un passaggio fondamentale per poter consentire a suo figlio di diventare più consapevole di sè, della malattia e dell'ambiente che lo circonda. Sono tante le domande che uno specialista potrebbe porre a suo figlio, ma se lui non disponesse, al momento di orecchie pronte a recepirle, quelle domande servirebbero a poco, se non a danneggiare la sua situazione emotiva.
Quando ci si interfaccia con gli adolescenti, in qualche modo, si fa i conti con l’adolescente che siamo stati o che in certi casi, ancora si annida in noi.
Ad esempio lei, che tipo di adolescente è stato? Anche a lei è capitato di rinchiudersi, di isolarsi, di avere difficoltà relazionali o all’università? La sintonizzazione con questa parte della sua vita, l‘aiuterà a capire, in primo luogo quanto quell ’adolescente sia ancora vivo dentro di lei, e quanto, i problemi di suo figlio siano stati anche i suoi problemi.
Questa comprensione è fondamentale perché ci consente di capire ad esempio, se stiamo proiettando delle nostre ferite non sanate sui nostri figli, ma in particolar modo ci consente di immedesimarci in loro. Quando a lei, da adolescente, è capitato di avere dei problemi, qual era l ‘atteggiamento che sua madre o suo padre doveva evitare di adottare per consentirle di aprirsi? Perché vede, io credo che per quanto orgogliosi e ribelli siamo stati anche noi, abbiamo sempre cercato delle bussole, che ci aiutassero ad orientarci, dei punti o delle persone di riferimento solidi, autorevoli, risoluti e (mi permetto di sottolineare questo elemento) affettuosi.
Per quanto lui negherà le sue cure, non smetterà mai di aver bisogno di una carezza e di un abbraccio di sua madre e/o padre. Cosa sta a lei capire? Il momento giusto per poterlo fare e le parole giuste da usare! … non quando torna a casa arrabbiato e si chiude in camera sbattendo la porta, ma quando invece sta lì, tranquillo sul divano, magari a vedere un film insieme a lei. Cerchi di passare più momenti con lui, cerchi di cogliere l’attimo giusto, di scegliere la parola più giusta, perché se lo farà, suo figlio le aprirà il suo universo o per lo meno - sicuramente - dentro di sé ci lavorerà.
Con molta delicatezza, quando ci sarà stato un avvicinamento tra voi, sappia cogliere il momento per chiedergli di parlare con uno specialista, ma non introduca il problema del diabete, si riferisca sempre ai problemi che fanno da contorno, ad esempio le difficoltà all’università. Lo faccia con calma, delicatezza, pazienza e vedrà che qualcosa cambierà. Gli sottolinei che lo specialista potrà fornirgli degli strumenti per gestire meglio le sue difficoltà, per aiutarlo a vivere meglio, in senso propositivo con se stesso e con gli altri.
E quant’anche non sarà riuscito a farlo parlare con uno specialista, avrà di sicuro innescato un movimento nel vostro rapporto genitore-figlio. Cordiali saluti.
Dott.ssa Simona Novi |